La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 627 del 4 aprile 2025, è tornata a pronunciarsi sull’usura sopravvenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, chiarendo che i principi consolidati in materia di mutuo non possono essere automaticamente estesi ai finanziamenti a utilizzo flessibile. È pacifico, infatti, che nel mutuo il superamento del tasso soglia durante il rapporto non determina né la nullità della clausola né una violazione del dovere di buona fede, essendo rilevante solo il momento della pattuizione (Cass. S.U. 24675/2017). Più controversa è la questione se questo principio valga anche per rapporti come l’apertura di credito, in cui non vi è erogazione immediata né obbligo restitutorio secondo un piano di ammortamento predeterminato. Una parte della giurisprudenza lo ammette, affermando che anche per tali contratti rileva unicamente il tasso pattuito all’origine. Un’altra, invece, ritiene che l’applicazione di interessi superiori alla soglia nel corso del rapporto configuri una violazione della buona fede, da correggersi con la riduzione entro i limiti di legge. La Corte fiorentina, muovendo dalla Comunicazione della Banca d’Italia del 3 luglio 2013, sottolinea la differenza strutturale tra mutui e aperture di credito: nei primi, la verifica dell’usura si compie alla stipula; nei secondi, deve essere effettuata trimestre per trimestre sul tasso effettivamente praticato, anche per contratti già in essere. Ciò comporta che, nei rapporti flessibili, se gli interessi superano la soglia nel corso del tempo, non si configura usura “genetica” (a meno che non vi sia una nuova pattuizione delle condizioni economiche o una modifica peggiorativa del tasso ex art. 118 TUB), ma la pretesa della banca diventa comunque illecita, per effetto dell’evidente squilibrio contrattuale. A ciò si aggiunge – secondo il Collegio fiorentino – che nei contratti a tempo indeterminato, a differenza dei mutui, la banca può modificare unilateralmente tassi e condizioni, a fronte di un giustificato motivo, che ben può individuarsi proprio nel sopravvenuto superamento del tasso soglia secondo le rilevazioni ministeriali. In tale contesto, l’intervento del giudice non sanziona una pattuizione illecita, ma riequilibra il rapporto sulla base di parametri oggettivi. In conclusione, dunque: per le aperture di credito, resta fermo che l’usura rilevante ex art. 1815 co. 2 c.c. si valuta solo al momento della pattuizione, come per i mutui, ma la riscossione di interessi eccedenti nel corso del rapporto è comunque illegittima perché contraria a buona fede in executivis ex art. 1375 c.c., comportando la necessità di restituzione dell’eccedenza a favore del correntista.